Il gran finale.
Il temuto ultimo giorno è arrivato. Ci siamo.
E quindi, sveglia presto, cuore in spalla e via, verso l’asilo di Charawe.
Si dice che tutto ciò che accade non sia mai una coincidenza, e penso che il villaggio di Charawe come ultima tappa della nostra tabella di marcia abbia avuto un suo significato, che per un motivo o per un altro non ha lasciato indifferente nessuno di noi. A Charawe ho trovato qualcosa di diverso, primo fra tutti un villaggio estremamente isolato e apparentemente arido, nonostante la sua indubbia intraprendenza. I bambini non ci hanno sorriso subito, nessuno ci ha travolto di abbracci. Ho visto bambini sporchi, mal curati, oserei dire più selvaggi, ma soprattutto più ostili. Dopo il gioco, le danze e le risate, noi siamo tornati ad essere “muzungu”.
Che strano questo termine, che strano essere chiamata così. Corrisponde al loro dispregiativo per indicare noi bianchi. Li ho sentiti lontani questi bambini, nonostante fossero davanti a me. Di chi è la colpa? Chi ha creato le nostre barriere culturali? Non loro, non noi. Io sono una volontaria e il mio ruolo è anche quello di non cercare responsabili e non lasciarmi travolgere dalla rabbia, rimanere salda. Ed è per questo che anche di fronte a sensazioni spiacevoli è possibile imparare qualcosa, e io oggi ho imparato tanto, che si aggiunge a tutto ciò che di straordinario ho vissuto qui.
La mia pace è stata nuovamente trovata di fronte ad un crepuscolo bianco e azzurro sulla spiaggia di Jambiani, dove tanti e tanti bambini spensierati rincorrevano un semplice pallone bianco e nero, ma così importante per loro. Quanto mi hanno insegnato questi bambini non posso spiegarlo.
Grazie all’Africa per aver tirato fuori il meglio di me e grazie ai miei compagni di viaggio che mi hanno permesso di essere me stessa. Non abbiate paura amici, il nostro grande viaggio non è finito, è appena cominciato.
Viva l’amore, viva l’umanità
Carlotta @ Zanzibar, Tanzania
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